Ora non vi resta che attendere che il vecchio Jack O'Lantern giunga a bussare alla vostra porta!
BUON HALLOWEEN A TUTTI!
RACCONTI E IMPRESSIONI DI UNA MAMMA CURIOSONA, AMANTE DELLA BELLEZZA DELLE PICCOLE COSE.
BUON HALLOWEEN A TUTTI!
I tartufi sono funghi che vivono nel sottosuolo in simbiosi con radici di piante.
Hanno l'aspetto di tuberi costituiti all'interno da una massa carnosa detta "gleba" ed all'esterno da una corteccia detta "peridio"; sono costituiti in alta percentuale da acqua, fibre e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell'albero con cui vive in simbiosi.
Sono classificati in diverse specie, tra cui le più conosciute per uso gastronomico sono:
Gli alberi che maggiormente accettano la "convivenza" dei tartufi con le loro radici sono il pioppo, il tiglio, la quercia e il salice. Sono proprio queste piante a determinare il colore, il sapore ed il profumo dei tartufi. Ad esempio i tartufi che crescono nei pressi della quercia, avranno un profumo piu' pregnante, mentre quelli vicino ai tigli saranno piu' chiari ed aromatici.
La forma dei tartufi invece dipende dal tipo di terreno: se questo è soffice i tartufi saranno tendenzialmente lisci e tondeggianti; se compatto e argilloso saranno più nodosi poichè maggior faticheranno a trovar spazio per la crescita nel terreno. La tartuficoltura studia il particolare fenomeno ormai da decenni con l'obiettivo di riuscire in un prossimo futuro a produrre tartufi in colture arboree sotto il diretto controllo dell'uomo. Per alcuni tipi di tartufi si hanno già buoni risultati (ne sono un esempio le piantagioni per i tartufi neri pregiati), mentre molta strada si deve ancora percorrere per ottenere risultati simili nella produzione dei tartufi bianchi d'Alba, che per questo è così raro e pregiato. La ricerca del tartufo è affidata da sempre al binomio inscindibile tra l'esperienza dell'uomo (il "trifolao", come viene chiamato in Piemonte il cercatore di tartufi) nell'individuare le piante idonee e l'infallibile fiuto del suo cane che, individuato il punto esatto, scava freneticamente per portare alla luce il prezioso e profumato tesoro. La raccolta avviene prevalentemente al calar delle tenebre, più che altro per evitare di favorire la concorrenza degli altri cercatori nell'individuare i luoghi più idonei. Un mondo, quello del tartufo, che richiama inevitabilmente alla durezza di una vita contadina, oggi completamente e fortunatamente cambiata, che un tempo individuava nella possibilità di trovare tartufi da vendere al mercato di Alba e destinati poi alle tavole dei nobili e dei re, una tra le poche occasioni di realizzo e sostentamento. La capitale delle Langhe ha avuto il grande merito di saper valorizzare per prima, da più di un secolo, questo straordinario fungo sotterraneo. Un percorso che è iniziato di pari passo con l'affermazione internazionale dei grandi vini del territorio albese: Barolo e Barbaresco. In questa breve storia non si può non ricordare la figura di Giacomo Morra, albergatore e ristoratore dell'Hotel Savona che, già negli anni '30 battezzò il Tuber Magnatum Pico con il nome Tartufo Bianco d'Alba, che contribuì non poco a far diventare celebre ovunque.
Triglie al cartoccio cucinate dallo Zione
Il 3 novembre 1953, nel 35° anniversario dell'ingresso degli Italiani a Trieste dal 1918 e festa di San Giusto, la bandiera italiana fu issata sul Municipio di Trieste, ma subito dopo fu rimossa dagli Americani.
Si formarono cortei di protesta nella città, ma la folla venne dispersa dalla polizia. Alla stazione ferroviaria si formò un corteo di mille persone, molte delle quali di ritorno dal Sacrario di Redipuglia, dove si era svolta l'annuale cerimonia commemorativa. Il 5 novembre gli studenti entrarono in sciopero e formarono un corteo che arrivava fino in Piazza Sant'Antonio. La polizia reagì con idranti e manganelli. Incidenti scoppiarono in tutta la città. La polizia, al comando di ufficiali inglesi, aprì il fuoco ad altezza d'uomo e uccise due persone. Il 6 ripresero i tumulti e gli incendi delle auto della polizia civile. La polizia aprì il fuoco per difendere gli edifici del Governo Militare Alleato. In tarda mattinata un'enorme folla convergeva in Piazza Unità, e assaliva la Prefettura. La bandiera italiana fu nuovamente issata sul Municipio e sul palazzo del Lloyd Triestino. Intervennero truppe inglesi in assetto di guerra. La polizia sparò ad altezza d'uomo. Quattro Triestini furono uccisi. Solo nel tardo pomeriggio la tensione si allentò. Titoli sui giornali di tutto il mondo parlarono della situazione di Trieste. A loro, ai caduti del 1953, alla loro memoria, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, concesse la Medaglia d'Oro al Valor Civile.
Poi, il 5 ottobre 1954 a Londra si firmò l'accordo per la riannessione di Trieste all'Italia. Trieste aveva pagato per tutti e ora poteva piangere di gioia. Alla radio Nilla Pizzi cantava: "Vola, colomba bianca, vola/ diglielo tu/ che tornerò./ Dille che non sarà più sola/ e che mai più/ la lascerò", la canzone dedicata a Trieste, che aveva vinto nel 1952 il Festival di San Remo. E quel 26 ottobre 1954 la folla, dal posto di blocco di Duino fino in città, formò un fiume umano di 25 chilometri e rimase tutta la notte ad aspettare l'arrivo dei soldati italiani. L'Italia era tornata.
Beh, finora non sono stata una globeltrotter: qualche viaggetto l'ho fatto, ma di posti da visitare, città da scoprire, sapori da assaggiare, ce ne sarebbero un'infinità e spero tanto di avere la possibilità di conoscere, un po' alla volta, un po' più di mondo! Comunque, questa è la mia short list di cosa amo e cosa detesto, a casa mia e nel resto del mondo, basandomi sulla mia piccola e personale esperienza:
ALTROVE:
E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure...
I soccorsi e il recupero delle salme
La forza d'urto della massa franata creò due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga. Questo consentì all'onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l'abitato di Erto. Purtroppo spazzò via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.
La seconda ondata si riversò verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso. Il collegamento viario eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così come la palazzina della centrale di controllo ed il cantiere degli operai. L'ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi, scavalcò la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante con una velocità impressionante. La stretta gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole acquisire maggior energia: allo sbocco della valle l'onda era alta 70 metri. In un crescendo di rumori e terrore, le persone si resero conto di ciò che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall'onda che si abbatté con violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall'acqua, che le sradicò fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l'onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, iniziò un lento riflusso verso valle: un’azione non meno distruttiva, che scavò in senso opposto alla direzione di spinta. Altre frazioni del circondario furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. A Pirago restò miracolosamente in piedi solo il campanile della chiesa. Il Piave, diventato una enorme massa d'acqua silenziosa, tornò al suo flusso normale solo dopo una decina di ore. Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà. Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l'imprevedibilità della natura, unita alla piccolezza umana, seppe produrre.
Foto e informazioni dettagliate sulla storia del Vajont: www.vajont.net