La mia vita è cambiata da quando sono diventata mamma... Allora mi sono detta: "deve cambiare anche il mio blog!". E questo è quello che ne è saltato fuori!
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domenica 4 novembre 2007

IN RICORDO DI FRANCO BONISOLLI

E io me ne ero dimenticata...
Il 29 ottobre è stato il quarto anniversario della morte di Franco Bonisolli, celebre tenore, mio cugino di terzo grado da parte del nonno paterno. Io non ho avuto la fortuna di ascoltare a sua voce dal vivo, ma visto che la mia nonna è una grande melomane, mi ha sempre raccontato di questo grande artista che faceva parte della nostra famiglia. Poi in me è nata la passione per l'opera lirica, e ho cominciato a cercare incisioni di Franco, ma anche immagini e recensioni, impresa non facile perché sebbene avesse avuto una folgorante carriera all'estero, in Italia poco è rimasto della sua arte.
Ricordo che a 18 anni spesi una cifra spropositata per una registrazione video abbastanza rara della Traviata interpretata da Bonisolli e dalla splendida Anna Moffo, che trovai fortuitamente in uno dei miei pellegrinaggi per i negozi di dischi del centro di Torino.
Quando nel 2003 Franco morì a Vienna, mi sentii profondamente commossa, anche se non l'avevo mai conosciuto personalmente.
Quando qualche mese dopo sono approdata a Rovereto per il mio stage, per me è stato come un ritorno alle origini. Ospite della zia, ho riallacciato i rapporti con il parentado da parte di papà, che bene avevano conosciuto il tenore all'inizio della sua carriera. Ho avuto modo di conoscere anche persone di Rovereto che avevano conosciuto Franco quando era ancora un giovane studente del Conservatorio, e li ha cominciato a frullarmi in testa un'idea.
Quest'estate il caso vuole che all'Arena di Verona, incontro una cugina mai vista prima, che fa la cantante lirica. Ornella è una sfegatata fan di Franco. Mi presenta qualcuno dei suoi amici cantanti e musicisti e l'idea, che era rimasta sepolta in un angolino della mia testolina incasinata, comincia a prendere forma: perché non scrivere una biografia critica su Franco Bonisolli?
Io non sono una storica della musica, però qualcosa ci capisco perché mi sono sempre documentata con passione. Conosco persone che potrebbero aiutarmi per quanto riguarda gli apparati critici e le dissertazioni di carattere più specificatamente tecnico. Ma soprattutto, non ho pretese di trasformarmi in una critica musicale: la mia intenzione è quella di scrivere una biografia, per rendere omaggio ad un grande cantante, ad una parte della mia famiglia di cui vado infinitamente orgogliosa, come del mio cognome. E poi l'idea di immergermi in una marea di carte da studiare su un argomento che mi affascina come l'opera e il teatro, esalta il topo di biblioteca che è in me.
Per ora il progetto è alle sue fasi iniziali. Come per la mia tesi di laurea, ho iniziato una ricerca bibliografica e appena sarà possibile, andrò a Verona a rintanarmi negli archivi della Fondazione Arena di Verona, dove potrò continuare le ricerche bibliografiche e le audizioni di registrazioni originali.

Intanto, lascio qua una breve traccia della carriera di questo grande cantante lirico, con una voce di una potenza esaltante e una presenza scenica degna di un attore del grande schermo, con un carattere istrionico e difficile, a volte addirittura impossibile, che sicuramente ha contrastato con i suoi molti trionfi nei più importanti teatri dl mondo, ma che sicuramente ne ha accresciuto il mito, almeno tra il popolo dei melomani.

Franco Bonisolli nacque il 25 maggio 1938 a Rovereto, in Trentino Alto Adige e dal 1972 faceva parte dell'Opera di Stato di Vienna, dove ha cantato l'ultima volta il 14 febbraio 2000, come Manrico nel Trovatore di Verdi. Bonisolli, che era da tempo malato, aveva esordito come Ruggero in La Rondine a Spoleto nel 1961, una scoperta di Gian Carlo Menotti. Nel novembre 1972 ha esordito all'Opera di Vienna con Rigoletto, ed alla fine ha totalizzato 19 parti in 187 serate di recita. Tra i suoi ruoli figurano Radames in Aida, Andrea Chenier, Gustaf in Un Ballo in maschera, Rodolfo in La Boheme, Turiddu in Cavalleria rusticana, Faust, Edgardo in Lucia di Lammermoor, Otello, Mario Cavaradossi in Tosca, Alfredo nella Traviata e Calaf in Turandot. Bonisolli aveva ricevuto anche l'onorificenza di Kammersaenger dell'Austria.

Ed ecco alcune "stranezze" del tenore (sulla gente di teatro circolano molti aneddoti, ma lui era veramente "particolare"!)... Ecco perché la mamma a volte mi dice: "Hai preso tutto dalla famiglia di tuo padre!". ;)

Bonisolli passeggiando per Verona, in bicicletta, fu riconosciuto dal grande Bergonzi che lo salutò: "Ehi! Ciao, grande maestro!". E Bonisolli: "Così speri che io ti risponda: il grande maestro sei tu? Col ca**o!". E tirò dritto per la sua via lasciando Bergonzi interdetto.

Cantando Il Trovatore a Barcellona, Bonisolli ebbe la sventura di rompere il Do finale in Di quella pira. Furioso gettò la spada sul palcoscenico e quando il sipario si riaprì a fine atto, si affacciò al proscenio e cantò il Do tutto solo ...a cappella!

Follie musicali a Vienna. Il celebre "Rigoletto parafilologico" di Muti si alternava al Trovatore, tradizionale, con la vecchia regia di Karajan. Bonisolli sostituva Luchetti (scappato da Vienna nottetempo, prima della generale!) nel Rigoletto e allo stesso tempo cantava nel ruolo di Manrico. La cosa comica è che il pubblico lo fischiava nel Rigoletto senza acuti e lo osannava nel Trovatore con i Do! Un giorno Bonisolli fermò Muti in camerino e gli disse: "Maestro? Ma vogliamo farne uno di Rigoletto con gli acuti? Poi vedi se fischiano!".

A Berlino, mentre provava La Fanciulla del West con Sinopoli, Bonisolli si accorse che in sala c'era Domingo e gli chiese: "Ah Placido, che ci fai qui?". E Domingo:"Sono qui per imparare Franco!". "Ma se sei più vecchio di me? Troppo tardi, vattene!" replicò secco Bonisolli.

Franco Bonisolli aveva l'abitudine di portare un anello dove diceva di conservare l'antidoto al veleno che gli volevano somministrare Domingo, Pavarotti e Carreras.

Ancora Bonisolli su Pavarotti nel Ballo in maschera: "Lo circondavano di ballerini nel finale per coprire l'osceno. Quando finiva l´aria se ne andava via dondolando, pareva l'elefante che aveva finito il suo numero al Circo!".

Per finire, consiglio a tutti di ascoltare qualche interpretazione di Franco Bonisolli; su internet si trovano gli mp3 delle arie più famose e anche qualche video è disponibile su Youtube. La potenza della sua voce vi lascerà davvero senza fiato.

domenica 16 settembre 2007

IN RICORDO DI MARIA CALLAS

Sono passati 30 anni da quella mattina in cui, Maria Callas, la donna che aveva rivoluzionato l'opera lirica, che aveva fatto tanto parlare di sé, per la sua portentosa voce, per i suoi capricci da prima donna, per il suo amore con Aristotele Onassis, si spense "sola, abbandonata, in questo popoloso deserto che appellano Parigi". Mai frase, tratta dalla Traviata, opera che Maria amò e portò in scena con una memorabile regia di Luchino Visconti, fu più appropriata per descrivere la fine di una donna che identificò il proprio destino in quello delle eroine che aveva interpretato in teatro.
La sua voce è stata un miracolo, non ci sono altre parole per descriverla. Altre cantanti ebbero e avranno una voce forse più bella, più morbida, ma lei aveva un carisma che nessuna potrà eguagliare.

Un fascino, quello della Callas, costruito con sforzi sovrumani. Sia per quanto riguarda la trasformazione che impose al suo fisico diventando, da ragazza paffuta e sgraziata, una splendida donna, icona di eleganza al pari del suo mito Audrey Hepburn, sia per le fatiche che non si risparmiava nello studio, pretendendo sempre da se stessa la perfezione.
Maria affrontava ogni personaggio che portava in scena scavando nelle pieghe della sua anima, studiando ogni minimo dettaglio dei gesti e del fraseggio. La sua grandezza è stata quella di pensare alla totalità del personaggio e della partitura musicale, al significato letterale del testo e alle sensazioni che accompagnavano la musica.
La Callas portò avanti una sorta di "riscrittura" della musica, andando ben oltre il solo problema dell' interpretazione: il suo fine ultimo era quello della verità musicale.
Tutta la sua vita fu affascinante: gli esordi difficili, gli anni dei trionfi, gli scandali, il divorzio e la lunga relazione con un uomo potente come Onassis, la solitudine in cui si chiuse dopo l'addio alle scene. Ma la sua vera grandezza è stata quella di dare un volto nuovo all'opera lirica; tutto il resto fa parte del mito: in parte lo ha accresciuto, ma resta un dettaglio.
I suoi ruoli più famosi per certi versi erano allegorie del suo destino: di Norma lei stessa diceva: "Mi somiglia, ruggisce come una leonessa ma non lo è". Tosca e Traviata rappresentano il sacrificio, la solitudine, quindi l'ultimo atto della sua vita.

Maria era unica. Ancor oggi, ascoltando le sue incisioni, rivedendo i filmati dell'epoca, la sua voce (ma sarebbe più corretto dire: le sue tre voci!), commuove fino alle lacrime. Non a a caso il film del regista documentarista francese Philippe Kohly, Callas assoluta, è stato presentato in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia ed è andato in scena alla Scala nel giorno del suo trentesimo anniversario dalla morte. Citando lo stesso Kohly, "il segreto di Maria è stato quello di realizzare la più classica delle fiabe: una ragazza qualsiasi, né bella né ricca che decide di diventare cantante e regine. E ci riesce".

martedì 28 agosto 2007

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Ultimo appuntamento con la stagione areniana. Mi mancava solo la Bohéme e quest'anno avrei fatto l'en plein! (ma del resto la Bohéme non ce la vedo molto ambientata in un anfiteatro romano...si presta di più ad un ambiente più raccolto, almeno questa è la mia idea, visto il carattere intimo dell'opera pucciniana).
Ma torniamo al capolavoro rossiniano che ho avuto modo di vedere con uno spettacolare e coloratissimo allestimento a cura di Hugo de Hana.
Anche Il Barbiere di Siviglia è un’opera di non facile ambientazione in un palcoscenico così vasto come quello dell’Arena di Verona; Hugo de Ana ha realizzato uno spettacolo nel quale le situazioni vengono amplificate in un grande gioco scenico, ponendo tutti i protagonisti, dagli artisti dei ruoli principali ai mimi, ai ballerini e ai coristi, al servizio della musica di Rossini.
Lo spettacolo complessivo ricorda l’allestimento di un musical. Nelle intenzioni di de Ana, lo spazio scenico è concepito come un giardino dell’amore, un labirinto nel quale si snodano gli intrighi e gli equivoci propri della storia tratta da Beaumarchais.
A me il labirinto abitato da farfalle gigantesche e colmo di rose rosse, mi è piaciuto tantissimo, sarà perché mi ricordava Alice nel paese delle meraviglie di Walt Disney.
Indubbiamente il merito di tanto successo va anche alle coreografie di Leda Lojodice, perfette per una scenografia tanto "ingombrante".


E poi non sono certo mancate le voci: Francesco Meli, al suo debutto in Arena, è stato un Conte di Almaviva che ha soddisfatto le aspettative. Annick Massis fraseggia così bene e ha voce così fresca che scandalizza affato la scelta che sia un soprano ad interpretare Rosina. Scoppiettante e divertentissimo Bruno De Simone (Bartolo), bravo anche Orlin Anastassov (Don Basilio). Una nota merita Francesca Franci, che ho avuto l'onore di conoscere personalmente: una Berta così vezzosa, da non sembrare affatto "vecchietta e disperata", ma piuttosto in vena di volersi assolutamente godere la vita, ha dato un ulteriore tocco di brio che non guastava in un insieme tanto giocoso e felice.
Unica pecca di uno spettacolo davvero scoppiettante (in senso letterale, c'erano anche i fuochi d'artificio nel finale!), è stata la direzione di Claudio Scimone: orchestra sottotono fin dall'overture, che trasforma Il Barbiere in un'opera stanca, a tratti pesante. Tempi lenti, nessun colore, nessuna dinamica, sono davvero lontani da ciò che ci si aspetta dall'opera buffa per antonomasia, ma alla fine un'ottimo cast, una sceneggiatura da favola (nel vero senso della parola!) e il fascino sempiterno dell'Arena, riscattano in pieno forse la più meritevole rappresentazione di questa stagione areniana.

lunedì 20 agosto 2007

VA PENSIERO. NABUCCO ALL'ARENA

Bellissima e calda serata di agosto all'Arena di Verona. Pioggia scongiurata e la solita fila interminabile per l’ingresso alle gradinate non numerate, ma affluenza di pubblico non eccessivamente pressante.
Dopo la Traviata, da vera melomane torno ad appollaiarmi sulle gradinate dell'anfiteatro per gustarmi il Nabucco, l'opera che Giuseppe Verdi scrisse appositamente per per la voce di sua moglie Giuseppina Strepponi, che rivive nella magica atmosfera dell'Arena. L'orchestra si presenta in ottima forma, diretta magistralmente da Daniel Oren (che non si smentisce mai e spicca numerosi saltelli sul podio) e splendidamente e la messa in scena si avvale di un Leo Nucci in grande forma ancora sorprendente per vocalità e sonorità qualitativamente ottime, con la sua bella voce ormai da tempo plasmata perfettamente per interpretare i “pesanti” ruoli verdiani.
Curiosità attorno all’Abigaille di Susan Neves, che all’apparire in scena faceva sperare in una gran qualità vocale. Invece, la cantante ha dato molto all’inizio, ma è andata appannandosi man mano che il ruolo pretendeva una vocalità incalzante. Bello il colore della voce, ma il controllo dell’emissione era modesto e l’impeto della cabaletta “Salgo già del trono aurato” si era già appiattito nel cantabile che la precede. Un vero peccato, perché dal Soprano, di considerevole stazza sia fisica che vocale, ci si aspettava molto di più.
D'obbligo menzionare le capacita e la qualità del Coro, diretto da Marco Faelli, che ha eseguito anche l’immancabile bis del “Va pensiero”.
Sobrie (del resto non previste nell’Opera) le coreografie di Maria Grazia Garofoli con il Corpo di Ballo dell'Arena di Verona, altrettanto sobri i costumi di Denis Krief, autore anche delle scene e della regia.
Davvero particolare la scenografia (è la stagione delle scenografie insolite all'Arena!): un misto tra il futuristico della bassa torre dorata sulla destra della scena, simbolo del potere di Nabucco, ma anche prigione del sovrano nel terzo atto, e la “Bauhaus” di un doppio “tempio-gabbia”, destinato agli ebrei, con annesso crollo rovinoso (ed alquanto polveroso), nel primo atto, dei libri sacri, veri e propri “mattoni” del Tempio di Gerusalemme. Le luci sono state determinanti nel dare un senso di continuità e coerenza alla scena.
Nella regia, sempre di Krief, il richiamo al regime nazista, accostato all'imperialismo di Nabucco (perfino nel passo dell'oca usato dalle sue truppe in scena), era lampante, ma non particolarmente coinvolgente.
La regia del Krief, in definitiva, sia pur facendo egli entrare in scena Nabucco a cavallo, provocando i suddetti crolli e facendo inerpicare pericolosamente il coro dentro le “gabbie” del Tempio, non ha provocato particolari emozioni e tutto lo spettacolo è stato permeato da quel senso di routine che ha appiattito la rappresentazione.


Un Nabucco dal quale ci si aspettava moltissimo, ma che, sia pur nell’alta qualità complessiva mantenuta, ha “inciampato” nella consuetudine ormai forzata della ricerca dello “spettacolo” e dell' "insolito" a tutti i costi, a discapito della resa complessiva della messa in scena.

mercoledì 8 agosto 2007

4 AGOSTO 2007. LA TRAVIATA ALL'ARENA DI VERONA

Sabato 4 agosto in un'Arena gremita, come di consuetudine, per l'occasione, è andata in scena la prima della Traviata, con la regia dissacratoria di Graham Vick.
L'allestimento di quest'anno si era già visto nella città scaligera in occasione del festival del 2004, e come allora, anche quest'anno una buona parte del pubblico non ha apprezzato le scelte provocatorie del regista. In particolare, oltre alla scenografia rutilante, non priva di riferimenti alla vogarità contemporanea, poco felice è stata la scelta di innalzare un enorme cuore rosso che rendeva difficile la visuale, soprattutto per il pubblico delle gradinate.


Dopo il duetto del primo atto le proteste che già serpeggiavano si sono tramutate in un coro di "a casa!" e "vergogna!" all'indirizzo del regista. L'orchestra non riusciva a riprendere l'esecuzione e la povera soprano sola sul proscenio non ha potuto far altro che aspettare che per lo meno la scenografia fosse un po' abbassata, in modo da rendere migliore la visuale.
Anche il resto delle scene sono state all'altezza delle aspettative di chi (pochi!) si aspettava una Traviata cinica e contemporanea. Violetta Valery, donna di facili costumi (in fondo, nonostante la beatificazione che ha subito la Signora delle camelie nel corso del Novecento, ricordiamoci che lo stesso Verdi disse che "una puttana rimane una puttana"), si muove in una sorta di circo mediatico: il suo è un mondo dove sesso e soldi e perversioni predominano, insomma un mondo fatto di lustrini e superficialità, dove la volgarità dilaga e dei valori morali non rimane che da salvare la facciata.
Le scene di massa sono l'apice di questa Traviata che ben si addice all'era di vallettopoli: le feste sfrenate sono all'insegna dell'alcol e dei soldi, i vestiti esagerati, il tutto sotto i flash dei paparazzi. Il kitsch dilaga volutamente, a volta prorompe sulla scena, come nel caso della bambolona bionda gigante e del ventaglio con le carte, dove le regine sono donnine nude, che trasforma il salotto di Flora in un casino di Las Vegas.
La Travita, seppur dissacratoria, resta pur sempre un melodramma borghese, intrecciato di emozioni e commozione, ma purtroppo questo aspetto si è perso nella cinica visione di Vick, lasciando una sensazione di gelido distacco anche nel pubblico.
Da un punto di vista tecnico , la direzione musicale di Julian Kovatchev è stata un po' generica, priva di slanci espressivi, nonstante il ritmo sfrenato dell'insieme.
Inva Mula è stata una Violetta senza infamia e senza lode, con anche dei bei momenti di limpidezza vocale ed una voce sicuramente matura e sensuale. A sua discolpa c'è da dire che la tensione provocata dalle proteste del pubblico proprio prima dellua sua scena in chiusura del primo atto (è strano, è strano, in core ho scolpiti quegli accenti...Follie, follie! Sempre libera...), non l'ha certamente aiutata a superare l'ansia della prima.
Bravo Roberto Aronica, un Alfredo squillante e volitivo.
Bravissimo Ambrogio Maestri alias Germont, elegante nel fraseggio e capace di rendere il senso del melodramma del grande Giuseppe Verdi.
Deludente il finale, almeno per me: Violetta che morente abbandona la scena dopo aver lasciato cadere un mazzo di fiori, (su un già folto tappeto di fiori, che ricorda i funerali di Lady D!) invece che spirare tra le braccia di Alfredo, proprio non ci sta: insomma, almeno all'opera un po' di sano tradizionalismo ci vuole, se non nel complesso della regia, almeno in alcuni passagi obbligati dal punto di vista recitativo!

Alla fine grandi applausi per i cantanti, fischi e non solo per Graham Vick che a ottobre porterà la sua Traviata in Inghilterra...ma secondo me avrebbe più successo a Broadway!

martedì 12 giugno 2007

CANZONE MEARVIGLIOSA...


Com'è triste Venezia

Com’è triste Venezia / Soltanto un anno dopo / Com’è triste Venezia / Se non si ama più / Si cercano parole che nessuno dirà / E si vorrebbe piangere / Ma ormai non si può più / Com’è triste Venezia / Se nella barca c’è / Soltanto un gondoliere / Che guarda verso te / E non ti chiede niente / Perché negli occhi tuoi / E nella mente tua / C’è soltanto lei / Com’è triste Venezia / Soltanto un anno dopo / Com’è triste Venezia / Se non si ama più / I musei e le chiese / Si aprono per noi / Ma non lo sanno / Che ormai tu non ci sei / Troppo triste Venezia / Di sera la laguna / Se si cerca una mano / Che non si trova più / Si fa dell’ironia / Davanti a quella luna /Che un dì ti ha vista mia / E non ti vede più / Addio gabbiani in volo / Che un giorno salutaste / Due punti neri al suolo / Addio anche da lei /Com’è triste Venezia /Soltanto un anno dopo / Com’è triste Venezia /Se non si ama più.
Charles Aznavour

Non aggiungo nulla perchè non ci sarebbe commento che possa dare maggiore forza a parole che si incidono nel cuore...



venerdì 20 aprile 2007

TRIBUTO A MARIA CALLAS

Casta Diva, che inargenti
queste sacre antiche piante,
a noi volgi il bel sembiante
senza nube e senza vel...
Tempra,o Diva, tempra tu de' cori ardenti,
tempra ancora lo zelo audace,
spargi in terra quella pace
che regnar tu fai nel ciel...

martedì 6 febbraio 2007

INTERPRETI VENEZIANI

La settimana scorsa ero a Venezia con amici e siamo andati a sentire un concerto nella chiesa barocca di San Vidal. E' stata un'esperienza meravigliosa, sembrava di essere tornati alla Venezia del Settecento, quella di Casanova, la Serenissima già al suo crepuscolo, ma ancora incantevole ed elegante.
Venezia è una città unica al mondo. Io ho la fortuna di abitarci abbastanza vicino e di poterci andare spesso. Eppure ogni volta è come scoprirla a nuovo. Riesce sempre a sorprenderti. C'è sempre un campiello, una calle nascosta, che cela qualche meraviglia architettonica o che conserva intatta un pezzetto di storia. La Venezia che io preferisco, è quella fuori dal solito giro turistico Rialto-San Marco-Accademia; io amo la Venezia dei veneziani, quella dei bacari, della gondola che il comune mette a disposizione per attraversare il Canal Grande dove non c'è il battello. Adoro la zona di Ca' Foscari e Campo Santa Margherita, dove, ad ogni ora c'è un gruppetto di studenti che beve uno spritz, e dove i goliardici non danno tregua agli amici neo-laureati, che subiscono ogni tipo di scherzo.
E poi, amo la storia di Venezia. Lo splendore della Serenissima Repubblica di San Marco, la sua potenza e la gloria del Quattrocento e Cinquecento. Mi appassionano le sue battaglie, la fierezza con cui i suoi comandanti seppero fronteggiare i nemici, con cui seppero trattare da pari con le grandi potenze europee.
E l'arte a Venezia? Visitare le bellezze artistiche della città è come immergersi nella sua storia, dalle origini quasi mistiche, fino ai secoli bui dopo la caduta della Repubblica.
Ma torniamo alla musica. La città, nei secoli del suo splendore è sempre stata una fucina di talenti. Mentre celebri artisti costruivano e decoravano i palazzi e le chiese, nelle botteghe nascevano i violini e le viole, nei salotti e nei teatri i compositori presentavano le loro sinfonie.
La stagione concertistica dei Maestri Veneziani, vuole ricreare quell'atmosfera antica, ma, dopotutto, senza tempo. I loro concerti sono un vero incontro tra la Musica e le altre Muse. Sulle note delle Quattro Stagioni di Vivaldi, sulle sinfonie di Paganini e Corelli, quei luoghi rivivono la gloria di un tempo.
La bravura di questi musicisti, sta nell'essere fedeli alla partitura, ma di infondere alla loro interpretazione un brio che è una ventata di freschezza, una tipica caratterizzazione italiana, che li ha resi famosi in tutto il mondo.