Ormai è arrivata la primavera! Non se ne poteva più di uscire la mattina intabarrati come Belfagor e con le mani ibernate.
Come ad ogni giungere della stagion dei fior di pucciniana memoria, il mio desiderio di pellegrinare tra bellezze artistiche e naturali (meglio se le due si incontrano!) riprende vigore.
Infatti credo di avere un stretta parentela genetica con l'orso, o con qualche altro simpatico mammifero che va in letargo nei mesi freddi. Non mi spiego altrimenti il totale torpore dei sensi in cui precipito alla fine dell'autunno e dal quale riemergo quando le prime, timide margheritine fanno capolino dai prati.
Ecco un suggerimento per un week end di relax, in cui dedicarsi allo sport (trekking, bicicletta), concedersi peccati di gola, il tutto in uno scenario architettonico unico al mondo, che rimanda direttamente ai fasti della Serenissima, o alle goldoniane Smanie della villeggiatura.
La diffusione delle ville aristocratiche lungo il corso del Brenta da Malcontenta a Stra, è stato un fenomeno che per un paio di secoli fra 1500 e 1700, ha testimoniato la potenza veneziana e la propensione del suo ceto dirigente alla teatralità più fastosa anche nel momento del declino che avvenne, del resto, fra un lampeggiare di magnificenza.
La scelta dell'area non riguardava soltanto la sua amenità, il fiume era una preziosa risorsa mercantile, quindi, prima che essere il Brenta della ville, era il Brenta delle osterie dove si mangiava e si poteva alloggiare a buon prezzo (cara vecchia usanza, oggi perduta! se bisogna trovare un difetto a questa incantevole dimensione rurale, sono i prezzi che si trovano stampati sui menu dei ristornati dediti alle specialità della cucina veneziana!).
Già dalla fine del 1400, avere una villa lungo il fiume e godervi la bella stagione con amici e parenti o Vip stranieri era uno status symbol forte. Furono ingaggiati grandi architetti e grandi pittori, da Palladio al conte Frigimelica, da Scamozzi al Longhena, dallo Zelotti ai Tiepolo.
L'effetto visivo della casa, con le adiacenze e i suoi giardini, doveva colpire i visitatori e i viaggiatori con una overdose di bellezze artistiche e naturali armoniosamente fuse nel complesso architettonico. Un'intento splendidamente riuscito, se pensiamo alla sorpresa che ancora oggi, agli occhi del moderno turista, suscita la vista improvvisa di una cancellata che fa capolino tra i salici, di una fontana adorna di ninfe scultoree, di una pioggia di divinità olimpiche che svolazzano nei tersi cieli di un affresco, circondate da stucchi dorati.
Delle circa ottanta ville sopravvissute a quella sorta di eta dell'oro, molte sono visitabili. In particolare, di due di queste perle di pietre, marmi e stucchi, subisco il fascino senza età: la palladiana villa Foscari, a Malcontenta e l'imponente villa Pisani a Stra: più che una villa, un Palazzo Ducale in terraferma. Una vera reggia, dove i fasti del barocco giunti all'apice, vengono disciplinati in un'armonica composizione di sapore classico.
Della prima sono letteralmente innamorata della decorazione pittorica, opera di quel Giambattista Zelotti allievo e collaboratore del mio diletto Paolo Veronese. Negli affreschi di soggetto mitologico e allegorico l'artista non eguagliò certo il maestro nella sua inimitabile capacità di creare figure cangianti di luce e di colore, ma, nonostante lo scempio che il tempo ha compiuto sugli intonaci, sono ancora apprezzabili le capacità di buon colorista dello Zelotti.
Villa Pisani mi è cara per i miei amori letterari (D'Annunzio), ma non solo. È del Tiepolo l'affresco sul soffitto del salone centrale, la Gloria della famiglia Pisani, uno dei capolavori del Settecento veneziano. E, com'è noto, Giambattista Tiepolo è detto anche il Veronese redivivo, per la sua pittura chiara, luminosa, serena.
Poi, come non ricordare le vicende storiche e i personaggi che hanno attraversato i saloni di questa mini-Versailles: Dogi, Napoleone Bonaparte, imperatori asburgici e re d'Italia.
Ma per tornare all'origine del mio amore per la più grandiosa villa della Riviera, il luogo che ispirò al Vate una delle pagine più intense del romanzo dedicato alla sua avventura amorosa con la divina Eleonora Duse, occorre uscire dalle sale monumentali e perlustrare il parco.
Qui, tra architetture più mosse ed articolate, aggirandosi tra le scuderie e le torrette disseminate lungo la recinzione, tra la casa dei freschi" cioè la ghiacciaia e le "orangerie", ovvero le serre degli agrumi, prima o poi, ci si imbatte nel labirinto di siepi di bosso, uno dei tre labirinti in siepe sopravvissuti fino ad oggi in Italia.
Elemento simbolico per eccellenza, concepito inizialmente come circolare e ispirato, con la torretta servita da una doppia elica che conduce alla statua di Minerva, a una rituale conquista della saggezza, fu qui che Gabriele D'Annunzio scelse di ambientare una pagina di struggente malinconia della storia della Foscarina.
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